ENZO BIAGI: CHI TROVA UN NEMICO TROVA UN TESORO
CHI TROVA UN NEMICO TROVA UN TESORO. DA 1,5 MILIONI DI EURO
Enzo Biagi dice che la destra l'ha cacciato dalla Rai. Ma in realtà s'è accordato per una maxi buonuscita
Ci sono momenti in cui diventa
necessario dire la verità. La verità non è sempre relativa, parziale o frutto di
una scelta di comodo. A volte le parole dette da tante diventano troppe e,
strumentalmente, qualcuno decide di far passare una vicenda lavorativa per
indiscriminata forma di censura. Se fino ad oggi si è scelto il silenzio o una
tiepida difesa è stato semplicemente, e forse colpevolmente, per una forma di
rispetto verso le indubbie, innegabili capacità del personaggio de quo. Fiumi di
inchiostro e ore di invettive contro il regime censorio berlusconiano sono state
spese dalla sinistra per la presunta cacciata di Enzo Biagi dalla televisione
pubblica. Cori indignati della intellighenzia nostrana hanno alzato una levata
di scudi a difesa del decano del giornalismo italiano, esempio di imparzialità e
libertà di pensiero. La ‘banda degli epurati’, capitanati da Biagi e dall’altro
compagno di sventure Michele Santoro, è assurta alle cronache e nei dibattiti
televisivi. I due sono stati dipinti come le vittime eccellenti della più bieca
politica, la quale scientificamente avrebbe ridotto al silenzio professionisti
di tal fatta ingerendo pesantemente nella gestione Rai. Il telespettatore non ha
più visto sulle reti pubbliche né Biagi né Santoro. Questa è l’unico dato
incontrovertibile dell’intera vicenda. Il perché, però, è ben lontano dagli
strali d’indignazione lanciati dalla sinistra. Anticipando il finale della
querelle, si può già dire che il povero Enzo Biagi ha percepito dalla Rai una
buonuscita netta di circa un milione e mezzo di euro più le spese. E come si è
arrivati alla cifra? I fatti risalgono al 2002: il direttore di Rai Uno Fabrizio
Del Noce, dati i cali negli ascolti de Il Fatto, decise, come nelle sue facoltà,
di non riconfermare la trasmissione. Agostino Saccà, allora, intervenne nella
vicenda per cercare una mediazione. Intesa raggiunta con un contratto biennale
che prevedeva dieci speciali in prima serata e venti puntate di un programma
settimanale di seconda serata. Biagi, nell’occasione, rilasciava ad agenzie e
quotidiani espressioni di piena soddisfazione per l’accordo raggiunto. Qualche
mese dopo, però, il giornalista, ricevuta la bozza del contratto, che recepiva
integralmente i termini di accordo, la ritenne non accettabile perché
“differente da quella relativa a Il Fatto”. L’azienda, a questo punto, con
l’avallo del direttore di Rai Tre Ruffini, propose lo spostamento sulla terza
rete della trasmissione. Il legale di Biagi comunicò però che il suo assistito
“da un lato non accetta la proposta contrattuale relativa alle intese di luglio
e dall’altro, pur apprezzando l’offerta di programmare Il Fatto su Rai Tre, non
ritiene di dover accettare l’offerta medesima”. Iniziarono, allora, le
trattative per la chiusura di una transazione “effettuata con il pieno consenso
dell’interessato e con di lui piena soddisfazione”. Si giunse quindi alla cifra
di buonuscita di tre miliardi di lire più le spese. A riprova della
“soddisfazione” del giornalista è sua una dichiarazione rilasciata all’Ansa nel
2003: “Non sono stato buttato fuori dalla Rai- ammette Biagi- al contrario con
la stessa ho raggiunto di mia iniziativa un accordo pienamente soddisfacente che
gratifica sotto tutti i profili, morali e materiali, i miei 41 anni dedicati
alla Rai”. Come sua è la conferma dei fatti sull’ultimo numero de L’Espresso:
“Non ho deciso di smettere di lavorare con la Rai, ma di non lavorare con le
persone che allora la dirigevano”.
Alla luce di questa ricostruzione, allora, forse è arrivato il momento di
mettere un punto e di ristabilire con la verità dei fatti e non con le studiate
strumentalizzazioni una vicenda che per troppo tempo ha riempito le colonne di
molti quotidiani trasformando un ottimo giornalista in una vittima di comodo,
con buona pace dell’interessato e di una parte della politica. Da adesso, in
poi, (per la sinistra) nuove vittime del regime cercasi.